Considerazioni a freddo.
Mi ritornano nella mente alcune affermazioni che ho colto la sera del 14 gennaio 2011 presso l'auditorium della biblioteca Tilane.
Sono state formulate alcune proposte alla Amministrazione presente (con due personalità politiche della realtà padernese, F. Rimoldi del PdL, G. Massetti del PD) ed in particolare volte all'Assessore all'urbanistica G. Bogani, per voce dell'architetto Lorenzelli.
Lorenzelli porta chiaramente in evidenza il commercio come "luogo di centralità" (nel disegno urbano?), negando la necessità di altri centri per la grande distribuzione poichè sentiti come elementi che snaturano il modo di abitare della comunità.
In effetti, l'esaltazione al massimo livello del contenitore commerciale che si conforma nei grandi centri, dove oltre all'ipermercato si trovano centinaia di negozi, sono delle città nelle città.
Si tratta di n serio contrasto tra la realtà commerciale di vicinato (da valorizzare) e quella di massa (in continua espansione) che ha messo in crisi il primo settore.
I centri commerciali sono "altri luoghi" (luoghi interclusi) nei quali si svolge parte della vita sociale contemporanea, alternativa a quella che si svolge nelle piazze della città (luoghi aperti).
Ecco proprio questo parallelismo dichiara la negazione dell'urbanistica e del ruolo della città contemporanea.
Vengono proiettate diverse slide e tra queste alcune di ambienti storicamente consolidati e riconoscibili nell'immaginario collettivo, come Montmartre, centro Bohemienne di Parigi.
Altre slide mostrano luoghi del commercio che riproducono città fatte e finite, quelle del commercio delle grandi firme dai prezzi "outlet".
Scenografie patinate e studiate nei dettagli, teatrali.
Luoghi pensati per attrarre i clienti, per farli sentire a loro agio, in microambienti ordinati, iper-reali e nei quali però si cammina a piedi.
Torno a Parigi, oggetto di 3 viaggi di studio svolti ai tempi dell'università e non solo.
Montmartre ci ricorda che quello fu luogo di decapitazione, di un martirio, quello del 1° vescovo di Parigi, Saint Denise.
Questo un breve cenno sull'origine del nome, ma il monte dei martiri fu poi luogo di pellegrinaggio, e degli incontri tra gli artisti e tra i pensatori dell'epoca che si cercavano per confrontarsi e parlare e quindi divenne luogo della vita "moderna" e poi del divertimento.
Niente a che vedere con la società dei consumi, della televisione e della immagine.
Era luogo di povertà, di vita di strada e di una dimensione sociale molto diversa, di gente sregolata, alternativa e libera, senza regole, ed è ancora oggi un luogo multiculturale, ma siamo in Francia, ricordiamolo, e quello che si faceva nei bistrot e nei caffè letterari era tutt'altro che shopping.
Vi lascio una "cartolina", una immagine dell'epoca in un dipinto di mio zio Arnaldo De Lisio.
Mi sforzo però di immaginare come la pianificazione del commercio possa trasformarsi in riqualificazione urbana, non ci riesco proprio.
Sarà per il retaggio culturale ed accademico della mia formazione di architetto, ma credo che il processo sia inverso.
Come possiamo (ri)disegnare oggi una città per il commercio (di vicinato) ?
Si costruiscono le infrastrutture di trasporto su gomma e si trasformano le destinazioni delle aree libere ad esse adiacenti per costruire centri commerciali, con la pianificazione e l'assenso della politica.
Se ci interroghiamo sulla dimensione dei bisogni, credo che al primo posto oggi ci sia solo il lavoro da mettere al centro del dibattito su le città nel loro complesso sistema di relazioni.
Il consigliere Massetti ha detto chiaramente che se avessero approvato il PGT, nella passata legislatura, con la grave crisi che si è verificata in questi ultimi due anni, le risposte per la città sarebbero state inadatte e superate; quindi come potremmo incentrare il tema del commercio oggi qualificandolo come "occasione di sviluppo" senza ricordarci della grave crisi (non solo economica) nella quale quasi tutte le famiglie si trovano?
Il processo come è stato presentato è contrario ad ogni forma di urbanesimo, quindi mettiamo sul tavolo lo studio delle relazioni economiche e sociali prima e forniamo delle risposte dopo.
Il commercio di vicinato non sarà mai possibile considerarlo uno "Standard", come ci chiede l'architetto Lorenzelli perchè, anche se volessimo definirlo "servizio", esso ha un risvolto meramente economico, è attività imprenditoriale e non tratta il soddisfacimento dei bisogni primari della collettività, è una attività prevalente sul tema dell'abitare.
Mettiamo l'uomo e i suoi bisogni al centro del dibattito e non i bisogni di una categoria.
Ricordiamo anche che se questo commercio di vicinato potesse venire considerato come Standard allora nelle verifiche del PGT (nel bilancio che determinerà la possibile crescita demografica padernese, che dice "tanti servizi = altrettanti abitanti") siamo certi che verrà a mancare qualche altro servizio primario.
Credo che la LR 12/05 abbia già introdotto delle forti novità e sono certo che sia l'arch. Rimoldi sia il consigliere Massetti non abbiano voluto replicare sul tema per i forti dubbi che avranno destato anche in loro gli assunti dell'Unione Commercianti.
L'unica proposta presentata è stata quella di ri-portare l'auto davanti al negozio, quella di trasformare Paderno D. in una città in transito insomma?
Spero vivamente che l'Assessore Bogani soppesi questi temi con la sua nota calma.
Gli anglosassoni (che in genere sul tema sono più avanti di altri) da tempo negano il bisogno di parcheggi per le auto, legate ai siti del commercio.
Nei grattacieli di New York non esistono parcheggi, ma anche a Parigi, i centri sono collegati dalle infrastrutture pubbliche.
E in tutti i siti dove si svolgono le attività del commercio arriva il trasporto pubblico (servizio), la metroplitana conduce le persone nei luoghi e le induce a camminare (proprio per favorire il window-shopping, prima esperienza di acquisto).
Forse proprio l'auto davanti al negozio resta la negazione di un luogo urbano di qualità.
Per riqualificare (anche sotto il profilo economico e commerciale) la città si dovrebbero attuare progetti di riqualificazione e progettazione urbanistica del pubblico per il pubblico, ma non "lifting" che tendono ad emulare realtà più complesse o consolidate.
Consiglio un testo, breve e senza pretese, "Learning from Las Vegas" di R. Venturi.
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