La verità è un'altra, ed è sotto gli occhi di tutti.
Rispetto al tracollo economico-finanziario iniziato con decisione un paio di anni fa tutti i settori sono in sofferenza, e quelli della produzione in particolare.
Produzione e mercato, naturalemente connessi.
Il settore edile è direttamente interessato da questo trend assolutamente negativo del mercato, ed è di qualche giorno fa la manifesta denuncia da parte delle associazioni di categoria di una immobilità preoccupante nelle quantità delle transazioni immobiliari.
I tempi medi per la compravendita degli immobili si allungano sempre più e i prezzi sarebbero ai minimi (non quelli storici, chiaramente), secondo gli studi.
Il settore delle costruzioni, con il suo indotto, occupa oltre il 70% del mercato complessivo, e non si tratta di soli materiali da costruzione, macchinari e altri prodotti simili, ma di tutto il resto.
La denuncia di una crisi chiaramente strutturale la cui ripresa è assolutamente lontana anni luce è ormai troppo preoccupante e i fenomeni sociali sono cambiati e cambieranno ancora.
Il periodo recessivo dimostra una crisi più generalizzata legata ai mercati finanziari, alla assenza di liquidità e credito, dalla incapacità di fare investimenti e quindi innovazione, dalla contrazione della produzione (ed anche per i fenomeni più complessi, legati alla globalizzazione), fino alla distribuzione, ai trasporti (su gomma e non), ed anche al mercato della promozione (di pubblicità e rapprestanze).
Il settore delle costruzioni è da tenere sotto estremo controllo perchè tratta una dimensione del mercato del lavoro che è molto estesa, e soprattutto c'è da fare i conti con le (in)disponibilità delle famiglie italiane.
Si è sentito parlare in questi giorni di avviare un'altro Piano Casa, ma questa insistente reiterazione di una proposta che si è dimostrata fallimentare, presenta tutta l'incapacità di vedere lontano.
Le famiglie italiane sono ridotte all'osso, figuriamoci se pensano ad ampliare la casa di un ipotetico locale (peraltro consentito solo a quelle uni o bi-familiari) per tenersi a casa il bamboccione di turno con fidanzata e prole.
Che sia il caso di avviare una nuova fase di politica per la casa sociale?
All'inizio del XX° secolo si sono fatti grandi dibattiti e congressi tra Sociologi, Urbanisti, Architetti, che furono costretti ad abbandonare i modelli urbanistici desueti del '900 dovevano far fronte alla complessità della industrializzazione ed al fenomeno espansivo delle metropoli.
Ma cosa possiamo ipotizzare oggi?
Con le iniziative di singoli (se non trattasi di grandi ed illuminati) non si va da nessuna parte.
Quindi ...qalsiasi cosa, direi, è meglio del sempiterno nulla, quindi che si stimolino i dibattiti e i confronti, e in fretta. Nel nostro secolo le questioni sono piuttosto differenti e complesse, e le aspettative soprattutto delle nuove giovani famiglie sono falciate sul nascere, spesso vedendosi anche impedito l'accesso al credito perchè quasi sprovvisti della tutela anche del diritto al lavoro.
Cosa aspettiamo di involvere fino a perire?
Scrivevo che la situazione è molto più complessa, ma per necessaria sintesi concludo ed esprimo una proposta per il PGT:
Possiamo ipotizzare una previsione generalizzata (obbligatoria o incentivata) di mix funzionale che permetta, in aggiunta all'indice di utilizzazione minimo di un'area, un proporzionale incremento di utilizzazione fondiaria per quote di edilizia convenzionata?
Non eviteremmo il fenomeno più banale della ghettizzazione della città, con la sperequazione del tessuto urbano di maggiore o minore pregio.
E dietro questa prima proposta vi è una lettura della stessa "filosofia" della LR 12/05, ovvero quella di creare uniformità delle rendite con l'espressione di un indice generalizzato, e quindi con beneficio per gli interventi di housing sociale.
Integrazione, equità e sistemi più organici e funzionali nel tessuto urbano.
Nessun commento:
Posta un commento